di Maurizio Fiasco,
Sociologo – Presidente del Comitato Consultivo della Fondazione Insigniti OMRI

SOMMARIO
1. Comprendere e rifiutare l’oggettivazione: da Nussbaum alla demistificazione del fenomeno INCEL;
2. Lessico violento e community online: revenge porn, intimidazione e dominio;
3. Apprendere dai media un modello distorto: pornografia, trap e diseducazione affettiva;
4. Dall’oggettivazione all’autoggettivazione: la violenza interiorizzata;
5. Prevenzione: educare al rispetto, all’affettività, all’ascolto;
6. Il femminicidio come “disastro”
7. Per una difesa sociale cementata dall’etica e dalla cultura del servizio
La relazione esplora il fenomeno della violenza di genere, integrando diversi modelli teorici e analisi empiriche per proporre alcune soluzioni formative e preventive efficaci.
Il percorso parte dalla comprensione critica dell’oggettivazione della donna e attraversa l’analisi dei fenomeni emergenti online, delle rappresentazioni mediali distorte e delle dinamiche psicologiche sottostanti.
Si passa quindi a indicare alcune proposte operative finali, individuando strategie educative e interventi istituzionali per prevenire la violenza.
1.
Comprendere e rifiutare l’oggettivazione: da Nussbaum alla demistificazione del fenomeno INCEL
La filosofa statunitense Martha Nussbaum ha definito l’oggettivazione – ridurre a oggetto – come il processo attraverso cui una persona viene ridotta a cosa. (1)
Le sue sette categorie (strumentalità, negazione dell’autonomia, fungibilità, violabilità, inattività imposta (inertness), possesso, negazione della soggettività) aiutano a riconoscere quando le relazioni perdono il loro carattere umano.
I social media e la pornografia mainstream promuovono spesso rappresentazioni del corpo femminile che ne facilitano l’oggettivazione.
Il fenomeno INCEL (involuntary celibate) è l’espressione estrema e violenta di un risentimento verso le donne accusate di negare l’accesso al piacere sessuale. Si fonda proprio sull’oggettivazione: se la donna è una cosa, allora è “ingiusto” che non sia a disposizione.
Si crea un senso comune che fornisce la base alla retorica di molti gruppi della “manosphere”(rete di comunità maschili online contro l’emancipazione delle donne e che promuovono convinzioni antifemministe e sessiste), INCEL, secondo l’asserita proporzione 20 e 80 ovvero “venti uomini che attraggono l’80 per cento delle donne).
(1) Orgoglio tossico. Abusi sessuali e gerarchie del potere, Il Saggiatore, 2023 (Titolo originale: Sex and Social Justice, Oxford University Press, 1999.
Ne deriva una forte pressione simbolica e produzioni estetizzante (Trap e altro) che tentano di legittimare la violenza simbolica e verbale verso le donne, motivandola come risposta all’esclusione.
2.
Lessico violento e community online: Revenge Porn, intimdazione e dominio
Altro fenomeno collegato si osserva nel cyberspazio, dove si formano community giovanili maschili che condividono immagini intime sottratte o estorte, battute sessiste, liste di “valutazione” delle ragazze, persino veri e propri manuali di manipolazione.
L’Istituto Superiore di Sanità in una ricerca del 2022 ha rilevato la forte diffusione del sexting, del doxing e del morphing tra i ragazzi della Generazione Zeta.
In tale flusso di bad habits si diffonde anche (soprattutto tra gli adulti) il “revenge porn”, studiato da Samantha Bates, che produce devastanti effetti psicologici: PTSD, depressione, ansia, isolamento, fino al suicidio.
È uno strumento di dominio, vendetta e controllo che si propaga anche per compiacere e ottenere approvazione tra pari.
3.
Apprendere dai Media un modello distorto: pornografica, trap e diseducazione affettiva
La prima educazione sessuale per molti adolescenti oggi avviene attraverso i contenuti pornografici online.
Anche questo genere di “spettacoli” subisce un’evoluzione, e in molto peggio.
Ancora una filosofa, questa volta l’italiana Michela Marzano, ha colto la sequenza del crescendo di tossicità che cerca di “passare indenne alla critica e alla repulsione” (2).
Le tesi molto acute della Marzano consentono di cogliere la persistenza della violenza di genere, se “Quella che regna è l’allucinazione del dettaglio”, fino ad illudere lo spettatore che non ci siano più segreti.
Ma la tentazione di eliminare qualsiasi mistero produce, al tempo stesso, la violenza del vedere e la cancellazione di ciò che viene visto”. Vengono in mente le cronache della violenza di gruppo a Palermo nel luglio 2023, ad opera di sei giovanissimi.
Gli episodi presentano alcune costanti, qual che sia la latitudine del loro consumarsi: rapporti aggressivi, impersonali, privi di reciprocità.
Con in più, sullo sfondo culturale, una estetizzazione esibita come simbolizzazione di esperienze estreme.
Pensiamo alla narrazione presente nei testi di certi artisti (come Tony Effe), dove le relazioni sono ridotte a possesso, sfida virile, denigrazione.
Il corpo femminile diventa “moneta” per autoaffermazione maschile.
Il modello presentato da diversi autori si configura come una combinazione di edonismo, ostentazione e superomismo.
Attraverso i testi e l’estetica delle immagini (tatuaggi, gioielli vistosi, pose dominanti), l’artista incarna una maschilità invulnerabile e irriverente, che esercita dominio e seduzione senza vincoli etici.
(2) La fine del desiderio, Mondadori, 2012, pag. 114.
Le relazioni sono presentate come sfide e le donne come trofei, senza mai entrare in un autentico scambio emotivo.
Non è il caso di sottovalutare quanto tale immaginario abbia presa tra i giovanissimi, che possono assimilarlo inconsapevolmente come norma di virilità.
4.
Dall’oggettivazione all’auto-oggettivazione: la violenza interiorizzata
Purtroppo, vi è anche la complementarità drammaturgica del ruolo talvolta recitato dalla figura femminile.
L’assedio continuo all’immagine e all’identità della donna riesce ad abbattere le difese, quando una ragazza si convince di dover piacere per “valere”, interiorizza lo sguardo maschile come giudizio.
È l’autoggettivazione, per tornare ai concetti della Nussbaum.
È un potente predittore di ansia, depressione e accettazione della violenza.
Chi è oggettivato è più vulnerabile alla sottomissione; chi oggettiva è più predisposto alla violenza.
Il modello estetico dominante rafforza questo meccanismo: le ragazze si sentono spinte a mostrarsi secondo parametri estetici sessualizzati (magrezza, visibilità del corpo, seduttività), rinforzati sia dai media sia dai social network. Quando la giovane si convince di non si corrispondere a tali canoni,l’autostima può crollare; e quando pur riceve conferme di “corrispondere”, rischia di diventare oggetto di controllo, invidia o umiliazione.
La prevenzione, pertanto, deve necessariamente agire su due fronti: educativo e istituzionale.
È necessario promuovere una cultura che valorizzi relazioni autentiche e rispettose, contrastando al contempo i modelli culturali devianti e garantendo un sistema istituzionale coordinato e attento ai segnali precoci della violenza.
5.
Prevenzione: educare al rispetto, all’affettività, all’ascolto
Ma andiamo a reperire anche delle evidenze dalla certificazione scientifica.
I dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2023 sulla Generazione Z mostrano come quasi due milioni di adolescenti siano a rischio di dipendenze comportamentali: dai videogiochi ai social media, dal cibo all’isolamento estremo (hikikomori).
A questi rischi si accompagnano fattori come ansia sociale, depressione, impulsività e difficoltà nel dialogo con gli adulti.
Sono condizioni che costituiscono fattori predisponenti e potenzialmente scatenanti anche per comportamenti violenti di genere.
Infatti: La dipendenza da videogiochi e social media espone a contenuti misogini, sfide sessiste, e distorsioni relazionali.
L’isolamento sociale e l’incapacità di comunicare con i genitori creano un vuoto affettivo che può riempirsi con modelli violenti o oggettivanti.
(3) L’assenza di alfabetizzazione emotiva e relazionale accentua la possibilità che le prime relazioni affettive siano gestite in modo possessivo, impulsivo, talvolta aggressivo.
Educare alla relazione significa quindi anche prevenire le dipendenze comportamentali e contrastare i linguaggi del dominio.
L’integrazione tra educazione digitale, affettiva e alla cittadinanza diventa strategica per contrastare lo sviluppo di personalità a rischio.
Occorre fare un passo in avanti e dotarsi di una rappresentazione puntuale del processo che si innesca.
La sociologia ci mette a disposizione un’efficace pista di analisi e ricerca, quella del “modello sequenziale”, del progressivo apprendimento dei modi e delle tattiche da parte del soggetto violento.
La violenza è un comportamento appreso. E quella contro le donne ha una incubazione con tratti particolari.
Una proposta interpretativa utile per la comprensione del comportamento vessatorio e umiliante contro la donna è offerta dalla “sequenza dell’attore violento” – o “Processo di violentizzazione” – formulata dal criminologo statunitense Lonnie Athens: la violenza non nasce spontaneamente, ma è il frutto di un processo progressivo che attraversa quattro fasi:
1. Brutalizzazione: l’individuo assiste o subisce atti violenti che gli insegnano che la violenza è uno strumento efficace per risolvere i conflitti.
2. Ribellione: la persona sviluppa un risentimento verso l’autorità o il mondo sociale che ha tollerato o permesso la sua sofferenza.
3. Esercizio della violenza: il soggetto prova per la prima volta ad agire in modo violento e verifica che ciò produce potere, controllo o riconoscimento.
4. Compimento violento: la violenza diventa parte della propria identità. L’individuo si percepisce come violento e agisce coerentemente con questa immagine.
Applicata al contesto adolescenziale, questa teoria aiuta a leggere i percorsi di radicalizzazione affettiva e comportamentale verso le ragazze, specie se nutriti da modelli maschili tossici e dall’assenza di spazi di confronto.
Prevenire la violenza significa anche intercettare questi passaggi prima che si fissino nell’identità del giovane.
È urgente introdurre nelle scuole superiori dei modelli di prassi didattica con alcuni filoni da aggiornare costantemente:
– Educazione all’affettività e al consenso.
– Analisi critica dei media, delle immagini, dei linguaggi.
– Sviluppo dell’empatia e dell’autoconsapevolezza emotiva.
– Laboratori di parola per i maschi: riconoscere emozioni, frustrazioni, confini.
– Spazi di ascolto e dialogo, tutoraggio fra pari.
L’obiettivo è smontare l’immaginario tossico prima che diventi comportamento violento E rendere visibile ciò che agisce invisibilmente: i modelli, i linguaggi, i “like” sbagliati, gli insulti normalizzati.
3 Perché uccidono. Le scoperte di un criminologo indipendente, Garzanti 2001.
6.
Il Femminicidio come “Disastro”
Occorre dunque interrogarsi su una questione essenziale: perché, nonostante la diminuzione complessiva dei delitti di sangue, la frequenza dei femminicidi rimane stabile?
La risposta sta nel riconoscere che, pur necessari, gli attuali presidi normativi e organizzativi non riescono ancora a garantire una tutela realmente efficace, corrispondente ai pur enormi sforzi che vengono profusi.
Proponiamo, nella ricerca della costruzione di una pragmatica contro la violenza estrema, qual è il femminicidio, di considerare ogni doloroso evento un “disastro umano di origine sistemica”, traducendo in un contesto affatto diverso e distante una vision ispirata al modello di Barry A.Turner sui man-made disasters.
Ogni disastro – anche quelli che colpiscono individui o piccoli gruppi – è infatti preceduto da una lunga fase di incubazione, durante la quale segnali e anomalie vengono trascurati.
Per l’appunto, in questa prospettiva, il femminicidio può essere inteso come un disastro annunciato, il risultato di una catena di omissioni, normalizzazioni e sottovalutazioni.
Per analogia, dunque, si ricava una trasposizione delle fasi di incubazione del disastro alle dinamiche tipiche dei casi di violenza maschile già monitorata dalle autorità, con specifico riferimento ai limiti delle misure tecnologiche (braccialetto elettronico) e all’assenza di presa in carico sistemica.
Tale approccio permette di considerare il femminicidio non come un atto improvviso e imprevedibile, ma come il punto d’arrivo di una lunga sequenza di fallimenti organizzativi, cognitivi e relazionali, su scala dei microsistemi (famiglia, vicinato) e dei sistemi istituzionali.
7.
Per una difesa sociale cementata dall’etica e dalla cultura del servizio
Occorre sviluppare una cultura del servizio pubblico come sequenza coordinata di snodi operativi, ciascuno dei quali – dalla denuncia presso le forze dell’ordine all’intervento del pronto soccorso, dal colloquio scolastico alla comunicazione sociale – deve essere pensato, valutato e responsabilizzato in relazione agli altri.
La mancanza di interconnessione tra questi snodi è una delle cause principali dei fallimenti preventivi.
In parallelo, è urgente contrastare l’influenza della cosiddetta “tecnologia forte”, ovvero di quei dispositivi industriali e comunicativi che, sfruttando le vulnerabilità cognitive ed emozionali delle persone, orientano comportamenti autodistruttivi mascherati da scelte autonome.
Tale fenomeno è stato definito da David T. Courtwright, (4) come espressione di un “capitalismo limbico”, che alimenta dipendenze per sostenere consumi superflui e distruttivi.
È un sistema che coinvolge i media, l’industria del gioco, il marketing emozionale e perfino alcune forme di comunicazione pseudo-terapeutica.
In opposizione a questa deriva, vanno sviluppate linee d’azione centrate sulla costruzione di un benessere autentico, non manipolato, a partire da esperienze concrete, relazionali e inclusive.
Una direzione possibile è indicata dall’idea che “la gioia è un attivatore di futuro”, come afferma la (4) The age of addiction : how bad habits became big business, The Belknap Press of Harvard University Press, 2019 (5) neuroscienziata Daniela Lucangeli.
La gioia, in quanto esperienza generativa, libera, condivisa, ha il potere di interrompere le spirali compulsive e restituire senso, fiducia e progettualità.
Un esempio concreto è il Festival Tocatì di Verona, che attraverso il gioco in strada riscopre il valore della relazione, dell’incontro intergenerazionale e del piacere non competitivo di stare insieme.
Iniziative di questo tipo non sono semplici eventi ricreativi, ma veri e propri dispositivi sociali di prevenzione, perché attivano capitale sociale, rafforzano i legami comunitari e disattivano le premesse dell’isolamento e della violenza.
Pertanto, è essenziale che le figure adulte con responsabilità pubblica e istituzionale sviluppino una forma di “intelligenza situazionale” capace di cogliere gli antecedenti culturali e comportamentali della violenza.
Alle forze di polizia è utile innovare le metodologie per leggere i segnali d’allarme come parte di una traiettoria evolutiva verso la violenza, anche quando non ci sono reati gravi pregressi.
Va sempre più aggiornata la formazione non solo giuridico-formale, ma orientata alla protezione concreta della persona.
Dal canto loro, i medici di medicina generale e i pediatri devono esser messi in grado di riconoscere i segni indiretti di relazioni affettive squilibrate o coattive, e partecipare alle reti di tutela.
Gli educatori per incidere occorre che entrino nell’universo di linguaggi, simboli, comportamenti relazionali quotidiani dei giovani. La formazione specifica sulla condizione femminile e sulla violenza di genere richiede un working in progress costante.
Non si può tralasciare la responsabilità dei media, nella spettacolarizzazione dei femminicidi, e dunque richiedere loro un’autoregolamentazione dei talk e delle varie trasmissioni che peraltro ben poco aggiungono all’informazione pubblica: per non alimentare modelli di egemonia e potere fondati sulla violenza e sul possesso.
Le amministrazioni pubbliche devono garantire coordinamento tra servizi, diffusione delle buone pratiche e investimenti nella formazione. È necessaria una governance coerente, orientata non al risultato immediato ma alla continuità del servizio.
La responsabilità educativa e di prevenzione non è solo della scuola: è dell’intera società.
Solo un’alleanza intergenerazionale e interistituzionale può trasformare la cultura della prepotenza in cultura della relazione.
(4) The age of addiction : how bad habits became big business, The Belknap Press of Harvard University Press, 2019
Glossario dei Concetti Chiave
(in contiguità di significato e non in ordine alfabetico)
- Oggettivazione: Processo teorico (da Martha Nussbaum) che riduce una persona a oggetto; si articola in sette forme: strumentalità, negazione dell’autonomia, fungibilità, violabilità, inattività imposta (inertness), possesso, negazione della soggettività.
- Autoggettivazione: Interiorizzazione dello sguardo maschile da parte della donna, che assimila modelli estetici e di giudizio che la rendono vulnerabile alla violenza.
- INCEL: Abbreviazione di “Involuntary Celibate”; sottocultura online maschile che esprime risentimento verso le donne accusate di negare relazioni sessuali, spesso associata a discorsi d’odio e misoginia.
- Manosphere: Termine trasponibile in italiano come “uomosfera”), deriva dall’omonimo libro di Ian Ironwood (2013), dove si indica la Rete di community maschili online antifemministe, spesso caratterizzate da ideologie misogine e sessiste.
- Revenge Porn: Diffusione non consensuale di immagini intime a fini di vendetta o controllo, causa di danni psicologici gravi.
- Doxing / Sexting / Morphing: Pratiche digitali lesive della privacy (diffusione dati personali, condivisione contenuti sessuali, alterazione di immagini).
- Violentizzazione (Athens): Teoria criminologica in quattro fasi (brutalizzazione, ribellione, esercizio, compimento violento) che spiega l’apprendimento e la radicazione della violenza.
- Trap (musica): Genere musicale connotato da testi ed estetiche che possono veicolare messaggi maschilisti e di dominio.
- Maschilità tossica: Modello culturale di mascolinità basato su dominio, repressione emotiva, aggressività.
- Hikikomori (Ritiro sociale): Fenomeno psicosociale di isolamento estremo, soprattutto tra giovani, con ritiro dalla vita sociale e scolastica.
- Capitalismo limbico: Concetto (Courtwright) che descrive l’economia fondata sulla stimolazione compulsiva delle emozioni e sulla generazione di dipendenze comportamentali.
- Tecnologia forte: Sistemi industriali/comunicativi che orientano i comportamenti usando vulnerabilità cognitive/emotive.
- Festival Tocatì: Evento di giochi tradizionali di Verona, considerato esempio di prevenzione sociale e attivazione del capitale relazionale.
- Intelligenza situazionale/preventiva: Capacità delle istituzioni di cogliere segnali anticipatori di disastri (come il femminicidio) e agire per evitarli.
- Disastro annunciato (Turner): Evento distruttivo non casuale, frutto di una lunga incubazione e di segnali trascurati; usato in analogia con il femminicidio.
- Alleanza interistituzionale: Coordinamento tra scuola, sanità, forze dell’ordine, media e società civile per la prevenzione della violenza di genere.
Riferimenti bibliografici
Martha Nussbaum | Cap. 26 – Objectification, in “Philosophy & Public Affairs” 24:4 (1995), Teoria delle sette forme di oggettivazione
Samantha Bates | Studi sul revenge porn Violenza digitale, PTSD
Michela Marzano | L’amore è tutto (2013) – Critica della pornografia e della sessualità mercificata
Lonnie Athens | The Creation of Dangerous Violent Criminals (1992) – Teoria della violentizzazione
Barry A. Turner | Man-Made Disasters (1978) – Modello dei disastri con fase d’incubazione
David T. Courtwright | The Age of Addiction (2019) – Capitalismo limbico e dipendenze comportamentali
Daniela Lucangeli | Interventi pubblici al Festival di Verona Tocatì – La gioia è un attivatore di futuro
Istituto Superiore di Sanità (ISS) | Report 2022–2023 Generazione Z, hikikomori, ansia e isolamento
Tony Effe | Trap Music Testi e video – Cultura dell’edonismo e maschilismo esibito
Festival Tocatì Eventi a Verona – Giochi come prevenzione sociale e esperienza educativa
Demir, Ging, Hunte | Studi sulla “manosphere” Culture online misogine e retoriche INCEL